I petroglifi di Usseglio (Torino, Italia)

tra mito e storia

  • (Estratto da: GATTIGLIA A., ROSSI M. 2001. 'L perë scrittë. Usoei Uxellos Usseglio, (red.) L. Longhi Borla, A. Reffieuna Roch: 215-220. Rivoli: Neos).
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    È difficile spiegare in poche parole, in modo esauriente e convincente, il fenomeno e il significato dei petroglifi: ciò vale non solo per il territorio ussegliese, ma, più in generale, per l'intera regione alpina.

    Le ragioni di questa difficoltà sono molteplici, prima fra tutte la scarsa considerazione di cui, a torto, questa categoria di reperti archeologici ha goduto per decenni nell'ambiente accademico e negli uffici preposti allo studio, alla conservazione e alla valorizzazione dei beni culturali.

    Nel vuoto di conoscenze aperto dall'annoso disinteresse del mondo culturale "ufficiale" hanno così trovato ampio spazio gli studi degli appassionati e degli archeologi dilettanti, la cui paziente opera di ricerca e documentazione e i cui tentativi di interpretazione si rivelano per lo più tanto meritori, quanto privi del necessario bagaglio di conoscenze storico-scientifiche.

    Trovandosi a confronto con reperti di per sé poveri di eloquenza storica e per di più inclassificati da parte degli storici e degli archeologi professionisti, è stato facile scivolare nella ricerca di legami forzosi e congetturali con quei fenomeni umani del passato che meglio si prestano a catalizzare "emozioni" culturali: i riti preistorici, i sacerdoti, i sacrifici, i Celti, gli Etruschi…

    La popolazione locale, stretta tra una involontaria sudditanza culturale nei confronti dei sedicenti esperti provenienti da fuori e la propria diretta esperienza tradizionale, che, giudiziosamente, le suggeriva che i segni sulle rocce, con cui era abituata a convivere quotidianamente, erano un retaggio del proprio passato e non del passato di un uomo preistorico mitico e mitizzato, ha assunto, sostanzialmente, due atteggiamenti opposti: l'uno riduttivo ("questi segni non li ho mai visti", "li ho fatti io quand'ero piccolo"), l'altro eccessivamente accondiscendente ("credevo che li avesse fatti mio nonno, ma ora so che si tratta di antichissimi riti preistorici, celtici, etruschi...").

    Si sono così moltiplicate le spiegazioni a posteriori, non documentate e sovente irrazionali, facenti riferimento a riti e popoli di un lontano passato e miranti a nobilitare rocce e massi recanti le più varie incisioni (date, iscrizioni, sigle onomastiche, figure, simboli schematici...), che si possono più semplicemente e correttamente spiegare come testimonianze dello stretto rapporto che i montanari degli ultimi sei o sette secoli hanno instaurato con l'ambiente: segni di confine privati o comunali, espressioni di fede cristiana, segni di passaggio o di presenza individuali o famigliari, commemorazioni di date ed eventi particolari, riproduzioni di oggetti, animali, personaggi e scene che colpivano per la loro singolarità…

    Un ormai più che ventennale lavoro di ricerca, svoltosi in numerose valli alpine sui due versanti dello spartiacque franco-piemontese, ha permesso a chi scrive di ricostruire sequenze cronologiche rupestri lunghe talvolta diversi secoli, basandosi sulle sovrapposizioni delle varie incisioni presenti su di una stessa roccia, sul recupero di contesti storico-ambientali mediante scavi archeologici ai piedi delle rocce incise, sulla individuazione degli oggetti reali che hanno funto da modello agli incisori rupestri, sulla consultazione di documenti storici ed epigrafici locali relativi a fatti e persone di cui le rocce incise tramandano il ricordo. Anche il territorio ussegliese è oggetto, da alcuni anni, di queste ricerche.

    Per Usseglio il primo e più urgente scopo è quello di costituire un inventario e una documentazione grafica di base delle numerosissime rocce incise che sono state individuate un po' dappertutto, dai villaggi sul fondovalle, ai versanti, sino ai pascoli e ai colli in alta quota: l'urgenza deriva dal fatto che le superfici incise si vanno a poco a poco deteriorando, per effetto del gelo e dell'annuale fusione nivale.

    Secondo, anche se non meno importante, scopo sono il corretto inquadramento cronologico delle testimonianze rupestri e l'interpretazione storica di insieme del fenomeno.

    La raccolta dei dati procede seguendo tre direttrici, differenti sebbene strettamente collegate:

    – il recupero e la rivalorizzazione del già cospicuo primo inventario delle incisioni rupestri redatto da Natalino Drappero negli anni '70, che non a caso Francesco Fedele, nella sua Presentazione al quarto dei volumi storici che l'ex parroco di Usseglio dedicò alla sua parrocchia, ebbe a definire "silloge di dati potenziali";

    – la registrazione e la verifica delle segnalazioni dei residenti;

    – la ricerca di siti di archeologia rupestre ancora in tutto o in parte ignoti.

      Rilievi di alcuni dei petroglifi rinvenuti a Usseglio nel corso delle recenti ricerche. 1 = camosci (o caprioli) del Rocciamelone; 2 = mano del Rocciamelone; 3 = cavallo e volto umano con pennacchio della Lunella; 4 = ostensorio (o reliquiario) e calvario del Palon; 5 = gioco del filetto del Palon; 6 = blocco murario con iscrizione onomastica datata e simboli varii (calvario, corona reale…) del Villaretto.

    Il corretto inquadramento dei reperti passa poi attraverso la loro ricollocazione in una prospettiva storico-ambientale, che tenga conto rigorosamente non solo della realtà materiale delle incisioni (geologia, tecniche di realizzazione, associazione con altre tracce di frequentazione della montagna, quali gli abitati, le vie di comunicazione, le cave, le miniere, i manufatti in genere), ma anche degli spunti iconografici che offrono, localmente, altre categorie di reperti affini, come le iscrizioni e le raffigurazioni incise sui muri dei villaggi o i graffiti realizzati sui monumenti e sulle opere d'arte, nonché delle espressioni più propriamente "paleografiche" che pastori, cacciatori, minatori e viaggiatori hanno lasciato sulla pietra, ispirandosi, anche se sovente con notevole originalità, alla propria esperienza di testi scritti cartacei.

    Le incisioni rupestri assurgono così al loro più genuino ruolo, che è quello di fonti inestimabili per la ricostruzione della storia civile, religiosa e mentale delle comunità locali, eco fedele dell'intensificarsi dell'antropizzazione dell'alta montagna verificatasi a partire dal tardo medioevo e soprattutto fra 1600 e 1900. A questi secoli risale infatti la maggioranza dei reperti noti, un po', come si è appena detto, per la loro connessione con l'intensificarsi della frequentazione dell'alta montagna e un po' per l'impossibilità che le incisioni hanno di conservarsi per più di qualche secolo su rocce relativamente deteriorabili come quelle ussegliesi.

    Per recuperare alla storia quanto più possibile di un patrimonio culturale sovente a torto considerato "marginale", ci si è anche dedicati a strappare al "mito" e all'immaginazione un reperto che propriamente rupestre non è, benché i graffiti che lo rivestono abbiano con le incisioni rupestri numerosi punti in comune: si tratta della scultura in pietra ollare raffigurante san Bernardo da Menthon (o d'Aosta), già pertinenza dell'omonima cappella di Malciaussìa almeno dal 1843 (data della visita pastorale di L. Fransoni, che annota: "praeter iconam, supra gradibus altaris collocatum, est simulacrum S. Bernardi ad formam anagliphi", e cioè "oltre all'icona, sui gradini dell'altare è collocato un simulacro di san Bernardo, in forma di bassorilievo"), alla quale una leggenda, recentissima e del tutto infondata (come tempestivamente rilevato dalla critica storica), ha attribuito nientemeno che una origine celtica! Una semplice indagine storico-iconografica ha permesso di trovare a questa rappresentazione numerosi "sosia", scolpiti o dipinti, non certo nella produzione celtica, che non contempla nulla di simile (si veda l'esauriente catalogo della grande mostra allestita nel 1991 a Venezia, a Palazzo Grassi), bensì fra le innumerevoli effigi tardomedioevali di san Bernardo che decorano chiese e cappelle del Canavese, della valle di Susa, della Maurienne, della val Maira, dell'Ossola…

    Come giustificare questo gusto dell'esotico e del mitologico che coinvolge sovente anche le vere e proprie incisioni rupestri? Non si può certo credere a una mancanza di radici culturali, che a Usseglio sono antiche e più che consolidate: basti pensare alle antiche frequentazioni dei colli Autaret o Arnàs, attestate per esempio dal ritrovamento del pugnale bronzeo preistorico di Malciaussìa e da testimonianze romane di indubbia importanza, come le due epigrafi conservate rispettivamente a Cortevicio e alle Piazzette e provenienti da Bellacomba e San Desiderio.

    Anche la tradizione erudita dell'Ottocento indulge poco al leggendario, come è evidente leggendo le dotte dissertazioni, ancor oggi fonte di dati, che il territorio ha ispirato a Luigi Francesetti di Mezzenile o al ministro della pubblica istruzione Luigi Cibrario.

    Questa predilezione per l'irrazionale, alimentata in parte persino da Natalino Drappero, che pure nei primi due volumi dedicati a Usseglio dimostra di essere un valido storico locale, si spiega probabilmente, come si è accennato all'inizio, con la mancanza di punti di riferimento nell'ambiente accademico e, in generale, nel mondo della cultura "ufficiale".

    Certo, bisogna essere preparati a riconoscere che il significato profondo delle incisioni rupestri più antiche, come le tanto discusse coppelle, può essere ormai irrimediabilmente perduto. Non è da escludere però che, ricomponendo a poco a poco il quadro di insieme e la giusta sequenza temporale di queste testimonianze, come è stato fatto per altri reperti, non si riesca in un prossimo futuro, anche con la preziosa collaborazione dei residenti, a ridare voce a quelle comunità per le quali le incisioni rupestri erano un mezzo insostituibile di espressione individuale e collettiva. Pastori, cacciatori, minatori, viaggiatori…: sono loro, che, dai tempi più remoti sino alle soglie del Novecento, hanno lasciato messaggi sulle rocce, di cui a noi è dato di raccogliere soltanto gli ultimi echi.

     

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    Per saperne di più: studio@antropologiaalpina.it