La grotta del Mian

 

La grotta del Mian, in Valle Stretta, si trova nel comune di Névache (Hautes-Alpes, Francia), pur ricadendo nel bacino della Dora Riparia (versante interno delle Alpi Occidentali). Essa si apre a 2 345 m di altitudine, nell'orizzonte delle praterie alpine, in un banco di gesso facente parte di una serie sedimentaria del Trias inferiore, e domina dall'alto un apparato morenico postwürmiano. Le ridotte dimensioni fanno sí che la cavità non risulti completamente separata dall'ambiente esterno, pur avendo un proprio microclima.

L'interesse del sito deriva dalla possibilità di studiare un ricco repertorio di graffiti parietali associato a un deposito archeologico intatto.

Il deposito è stato scavato con metodi tipici dell'archeologia preistorica anche negli strati superficiali, che sono peraltro gli unici ad avere restituito delle testimonianze antropiche. La stratigrafia comprende quattro strati, di cui il più superficiale (As) caratterizzato da frequentazione antropica stagionale, i due intermedi (AFo e FAo) da frequentazione occasionale antropica e animale e il più profondo (G), a contatto con la roccia di fondo, completamente sterile.

I materiali rinvenuti in scavo rimandano ai secoli XVIII ÷ XX e comprendono una pietra focaia per arma da fuoco ad avancarica, diverse lastre e un bastoncino in calcare introdotti nella grottina dall'uomo (manuports), una scaglia di ceramica invetriata, un frammento di vetro, alcuni chiodi e frammenti di borchie in ferro, dei pallini da caccia in piombo, uno spillo in ottone, un bastoncino in legno lavorato, abbondanti resti carbonizzati, un graffito parietale e delle faune. L'immagine che essi ricreano non è quella dell'antico eremita suggerita dal microtoponimo Glëizëttë'd Bardoulin (= chiesetta di Bardulin) e dalla relativa leggenda locale, bensì quella del pastore-cacciatore di età moderna e contemporanea.

I graffiti parietali sopravvissuti alla dissoluzione della roccia, integralmente rilevati in scala 1:1, sono 920, di cui 86 iscrizioni e 834 tra simboli e segni indecifrabili. 61 iscrizioni e 828 simboli sono stati realizzati mediante incisione, gli altri a matita o carboncino. Tra le iscrizioni compaiono 29 date, di cui 1 del XVIII secolo, 5 del XIX e 23 del XX. Dalle iscrizioni e dalle inchieste orali si desume che gli incisori erano pastori, cacciatori, agricoltori, militi e minatori. Tra i segni non alfabetici, il simbolo più ricorrente è la croce cristiana, che ricorre 324 volte, in 25 tipi differenti. Vi sono anche stelle a cinque o sei punte, aste sormontate da un rettangolo, scale a pioli, segni cordiformi, fitomorfi, "vulvari", linee, orbicoli e puntini. Le tecniche di esecuzione, le sovrapposizioni, l'iconografia e i dati cronologici offerti dalle iscrizioni permettono di definire quattro fasi, ciascuna della durata di circa mezzo secolo a partire dal 1750/1780. La fase I risulta coeva dello strato AFo, le fasi II, III e IV dello strato As.

Il gesso è una roccia molto particolare e particolare risulta perciò il rapporto che l'uomo instaura con esso, sia quando si tratta di cavità, sia di acque termo-minerali o di cave di materiali per edilizia, confermando la propria versatilità nello sfruttamento delle risorse geologiche.

La Valle Stretta è menzionata nei documenti a partire dal XIII secolo. La sua storia, soprattutto nei secoli XVII-XVIII, è essenzialmente contrassegnata da avvenimenti militari, i cui effetti si sono ripercossi pesantemente sulla popolazione locale.

L'analisi delle pratiche cultuali nel territorio di Mélezet (frazione di Bardonecchia da cui la Valle Stretta storicamente dipende), condotta principalmente sulla base dei documenti conservati nel locale Archivio Parrocchiale, evidenzia una forte devozione mariana, materializzata dall'erezione di chiese e cappelle dedicate alla Vergine, tra cui in particolare quella sulla vetta del Monte Tabor. Rispetto a ciò, i graffiti cruciformi della grottina del Mian, realizzati in un luogo dalla naturale connotazione di santuario, potrebbero tradire l'esistenza di un secondo polo di devozione popolare, sfuggito alle registrazioni ufficiali e in parziale concorrenza con l'elemento mariano.

L'integrazione di fonti di varia natura permette di proporre una spiegazione in chiave antropologica della infondata leggenda locale secondo cui un eremita avrebbe soggiornato nella grottina.

La grottina del Mian ha funto da ricovero temporaneo a pastori e cacciatori di età moderna e contemporanea, provenienti da Mélezet, Les Arnauds e Thures, che si sono accampati in questa rude dimora adottando comportamenti simili a quelli degli uomini preistorici: analogamente a quelli, essi hanno lasciato nella cavità le tracce del loro passaggio, vi hanno perso degli oggetti, hanno graffito sulle pareti i propri nomi, delle date, dei segni di fede, a perpetuare nella roccia il ricordo della loro esistenza.

Date la specializzazione e la severità delle condizioni materiali e psicologiche in cui tale esistenza si svolgeva, l'orizzonte ecologico-umano di cui la grotta del Mian fa parte è rappresentativo degli estremi raggiunti dall'antropizzazione nelle Alpi e nella montagna temperata europea in generale.

Bibliografia: ROSSI M. (dir.) 1997. La grotta del Mian. Archeologia e ambiente della Valle Stretta. Torino: Antropologia Alpina.

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