Giotto, la mimesi e i petroglifi

  • (Riassunto del volume: GATTIGLIA A., ROSSI M. 1999. Giotto, la mimesi e i petroglifi. Torino: Antropologia Alpina).
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    La rilettura in chiave archeologica di una fonte notissima, la vita di Giotto di Giorgio Vasari, in cui il futuro grande pittore è presentato nella veste di incisore rupestre, offre lo spunto per verificare l'esistenza di procedimenti mimetici in una forma espressiva tradizionale e subalterna quale sono i petroglifi di età storica.

    Nel repertorio dei petroglifi – incisioni su rocce all'aperto realizzate con tecniche e strumenti varii – rientrano sia segni astratti, sia raffigurazioni organiche più o meno realistiche. I primi sono difficili da decifrare, datare e interpretare, mentre le seconde hanno maggiori possibilità di inquadramento crono-culturale.

    Affresco del Sogno di Gioacchino nella cappella degli Scrovegni (Padova), opera di Giotto (1303/1305). Petroglifi di Balsiglia (Torino) raffiguranti ovini e caprini, opera di un anonimo incisore rupestre alpino (datazione controversa).

     

    Della mimesi della realtà (concetto di ascendenza platonica), nel suo triplice aspetto di imitazione della natura, dell'idea e dell'arte, viene tracciato un profilo storico, dall'antichità all'età contemporanea, mettendovi in risalto il ruolo di altre espressioni subalterne collegate ai petroglifi (graffiti, epigrafia non ufficiale).

    I petroglifi di età romana iniziano appena a venire censiti, ma sono certo più numerosi di quanto comunemente ammesso. Nell'alto medioevo si assiste alla medesima contrazione dell'espressione grafica, in favore di procedimenti astratti, che caratterizza altre forme espressive.

    Con Giotto, fra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, ridiviene preponderante l'imitazione della realtà, che ispirerà poi le teorie artistiche rinascimentali, con sviluppi in quelle moderne e contemporanee sino all'avvento dell'astrattismo (1910) e oltre.

    È proprio attraverso la mimesi della realtà, ossia l'imitazione di cose ed esseri viventi osservati quotidianamente o in particolari occasioni, che, tra XIV e XX secolo, gli incisori rupestri realizzano le proprie espressioni grafiche, in cui integrano sovente testo e immagine. Le poetiche astratte non paiono invece rispondere alle esigenze di facile comunicazione tipiche di tali espressioni.

    L'area geografica presa in esame è prevalentemente quella delle Alpi franco-piemontesi, che da un ventennio funge da laboratorio di ricerca e sperimentazione di nuovi metodi di studio, stratigrafici, geo-archeologici e topografici. Oltre che con altre testimonianze grafiche ufficiali (pittura, scultura, epigrafia) o subalterne (graffiti, scultura popolare, epigrafia non ufficiale), dotate di solidi apparati critici, i dati così ottenuti sono messi a confronto con fonti storiche, letterarie, religiose e paleografiche, nel tentativo di consolidare o, in qualche caso, rifondare metodi e strumenti di indagine.

    Vengono infine discussi approfonditamente otto reperti di matrice cristiana, di età medioevale o moderna, nella cui realizzazione è possibile riconoscere l'esistenza di procedimenti mimetici: essi riproducono, rispettivamente, una cappella, una croce di altare lignea, un ostensorio, una via crucis, un calvario ligneo, un paesaggio cultuale, un evento sacro e un personaggio storico-religioso. Il ripercorrere attentamente tali procedimenti permette di migliorare l'interpretazione semantica dei reperti e, di conseguenza, l'affidabilità della loro datazione.

    Per saperne di più: studio@antropologiaalpina.it