L'ANELLO FORTE DI USSEGLIO
USSEGLIO E LA GRANDE GUERRA
Monografia storica di Claudia G
IACOMELLI
30 pagine in formato A4, 31 illustrazioni, note e bibliografia. Prefazione di Giancarlo C
HIARLE.

L’Anello Forte di Usseglio si è riunito nel Salone delle Iris, gentilmente concesso dall’Albergo Rocciamelone di Usseglio, per ricordare il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, con la presentazione del libro edito nel maggio 2015 Usseglio e la grande guerra, scritto da Claudia Giacomelli con la prefazione di Giancarlo Chiarle (l’autore di Novecento nel villaggio).

In ricordo dei 28 caduti ussegliesi del Quindicidiciotto, prima della presentazione del libro i partecipanti hanno osservato un minuto di silenzio e in seguito si sono recati al Monumento ai Caduti, in Piazza Cesare Ferro Milone, dove hanno sostato in raccoglimento e acceso 28 piccole faci tricolori.












Dalla prefazione del libro


Cento anni fa, con la grande guerra, milioni di contadini dialettofoni furono chiamati a sentirsi parte di una «comunità» che travalicava i confini del villaggio per identificarsi con la «nazione». Diventarono «italiani». Fu il sangue versato a suggellare l’unione, che fu simboleggiata dai monumenti che poi sorsero sulle piazze. Con dimensioni inedite e totalizzanti, la guerra segnò l’ingresso delle masse sulla scena della storia.
Anche settantasei ragazzi di Usseglio (un ussegliese su venti, ma era tutta la gioventù) furono «catapultati» (come scrive l’autrice) al fronte, «senza sapere veramente perché dovevano combattere». Già l’esperienza dello sradicamento dovette essere terribile: lasciare la piccola comunità, la borgata ancora più del comune, essere imbarcati sulla tradotta. Un’esperienza che qualcuno aveva già provato con l’emigrazione: Antonio Giacomelli del Pianetto, classe 1895, tornò dalla Francia, dov’era minatore, e fu il primo a morire, dopo soli ventitré giorni di guerra; Bartolomeo Perino Bert della Perinera, classe 1889, che due mesi dopo fu il secondo, aveva fatto anche lui il minatore in Francia. Alla fine della guerra, appena tornati dal fronte, altri dovettero proseguire per le vie del mondo: Giovanni Giacomelli del Chiaberto per le miniere dell’Illinois, Onorato Cibrario Palas per la Francia.
I caduti furono ventotto (nove il primo anno, quattro il secondo, nove il terzo, sei nell’ultimo anno di guerra). A diversi di loro toccò il destino più comune ai caduti di questa guerra, essere «sepolti direttamente sul campo, nei trinceroni, lungo i pendii delle montagne dove si combatteva, portati in seguito nei sacrari e registrati sovente come ignoti»; di sei, dispersi, non si seppe più nulla. Morirono due coppie di fratelli («parola tremante nella notte...»), i Borla Cart delle Piazzette e i Sapetti, mentre «miracolosamente» tornarono a casa i cinque fratelli Castrale del Pianetto, e, senza perder tempo, come tanti altri soldati, nel 1918 portarono il loro ex voto alla cappella San Giacomo.
Dei sei che ebbero la medaglia al valor militare, toccante è la motivazione dei due caduti (settembre-ottobre 1915): il bersagliere Severino Girivetto uscì allo scoperto dalla trincea per portare in salvo un compagno ferito; dalla sua postazione in trincea l’alpino Annibale Reteuna volle tener testa a una mitragliatrice che si era installata a una cinquantina di metri. Come tanti altri, che magari poi lo buttarono in un fosso mentre tornavano a casa, tenne un diario di guerra Angelo Cibrario Pioc, che così annotava all’arrivo a Bassano: «siamo arrivati che non c’era più vita, i piedi pieni di sangue, senza mangiare, stanchi e pieni di pidocchi subito hanno fatto il rancio e abbiamo mangiato un po’ ma di tanta fame non si poteva mangiare».
Per l’Italia la catastrofe umanitaria fu più grave che nella seconda guerra mondiale: 600 mila morti e un milione di feriti. Nel culto del sangue versato fu saldata l’unione tra villaggio e nazione. Il centro del villaggio fu consacrato ai simboli della religione politica. A Usseglio il monumento ai caduti fu inaugurato il 4 settembre 1921; due mesi dopo fu celebrata la prima festa nazionale della Vittoria, in occasione della traslazione a Roma della salma del Milite Ignoto: «In ogni paese, in ogni più piccolo comune o frazione di comune la festa ha assunto un carattere grandioso», «religioso», scrisse Il Risveglio. L’anno dopo fu il Ministero della Pubblica Istruzione ad attivarsi per la realizzazione in ogni comune del Viale della Rimembranza (un albero per ogni caduto) da affidare ai bambini delle scuole.
Allora la gente di Usseglio, come quella di tutti i villaggi, ricordò con «vero orgoglio e sincero rimpianto» i ventotto che non tornarono più. E degnamente li ricorda oggi, loro e i loro compagni più fortunati (chissà: la guerra lasciò ferite incancellabili), con questo bel libro.

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Leggi la recensione di Gian Giorgio Massara: La grande guerra, una memoria

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