L'ARCHEOLOGIA RUPESTRE, NUOVA FONTE PER LA STORIA
MANIFESTO PROPOSITIVO REDATTO DA TIZIANO MANNONI E MAURIZIO ROSSI

Nella sua versione originaria, il testo sottostante era stato concordemente redatto da Tiziano Mannoni[1] e Maurizio Rossi[2] tra il marzo e il settembre del 2001. In seguito, a partire dal convegno «Le incisioni rupestri non figurative nell’arco alpino meridionale», organizzato a Verbania nell’ottobre del 2001 dal Museo del Paesaggio, esso è stato più volte proposto al pubblico, agli studenti e alla discussione scientifica[3], venendo così ulteriormente elaborato, modificato e corretto, sulla base delle osservazioni offerte da numerosi ricercatori e in particolare da Claudio Capelli, Roberto Maggi, Carlo Montanari, Diego Moreno, Osvaldo Raggio ed Elisabetta Starnini. Nella versione qui riportata, esso ha funto da manifesto propositivo nella raccolta dei contributi destinati al numero monografico di Archeologia Postmedievale dedicato al tema «Pietra, scrittura e figura in età postmedievale nelle Alpi e nelle regioni circostanti».

1. I petroglifi sono una categoria di reperti archeologici ampiamente diffusa nel tempo e nello spazio. Essi sono un mezzo espressivo, individuale e collettivo, comune a culture molto diverse tra loro, che si pone all'intersezione tra scultura, pittura, artigianato, scrittura e letteratura, tra mondo colto e mondo popolare. L'archeologia rupestre è la disciplina che si occupa di tali reperti.

2. Nonostante il grande interesse che tali testimonianze del passato suscitano nei ricercatori e nel pubblico, il loro studio permane afflitto da irrisolti problemi istituzionali, metodologici e tecnici.

2.1. Principali problemi istituzionali.

2.1.1. L'insegnamento della «Storia dell'arte rupestre» è previsto dal 1972 (D.P.R. 31 ottobre 1972, n. 847, «Riordinamento didattico del corso di laurea in storia») fra gli insegnamenti complementari del corso di laurea in storia, indirizzo paleostorico, ma, stando al sito web ufficiale del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (www.miur.it), esso non è attivato in nessuna sede universitaria e, nella pratica, sono ben pochi gli insegnanti universitari di storia o archeologia che trattano la materia all'interno di corsi e seminari.

2.1.2. Le leggi nazionali in vigore, compreso il recente «Testo unico… in materia di beni culturali e ambientali» emanato il 29 ottobre 1999, non contemplano esplicitamente la categoria di reperti in questione, pur avendone recepite altre affini, quali «i graffiti, le lapidi, le iscrizioni… e gli altri ornamenti di edifici» (art. 3, comma 1, lettera a).

2.2. Principali problemi metodologici.

2.2.1. Così come accade ad altre più «nobili» archeologie, quali la romana o la greca, alla disciplina è generalmente attribuita una connotazione prevalentemente estetica, tradita dall'espressione «arte rupestre», tacitamente accettata da molti studiosi in luogo di «archeologia rupestre».

2.2.2. La materia è sovente ritenuta appannaggio pressoché esclusivo dell'archeologia preistorica, una prassi che si fonda sull'errato ma diffuso convincimento che i petroglifi siano per la maggioranza espressioni di popoli preistorici e/o primitivi (o tribali): tale equivoco ha per lungo tempo tenuto lontano dalla materia gli archeologi e gli storici classici, medievisti e modernisti.

2.2.3. Adducendo a giustificazione il fatto che quasi sempre i reperti affiorano dal terreno, essi sono per lo più studiati senza tenere conto delle loro relazioni ecologiche, sia di quelle più evidenti (litologia, micromorfologia, alterazione), sia, a maggior ragione, di quelle meno evidenti (sedimentologia, archeologia e storia ambientali, cultura materiale).

2.2.4. Sulle stesse rocce sono incisi, gli uni accanto agli altri, scene, figure, simboli, iscrizioni e date: invece di trarre partito da quello che dovrebbe essere considerato a tutti gli effetti un utile spunto crono-stratigrafico, diversi studiosi trascurano o espungono arbitrariamente dai loro rilievi le iscrizioni e le date, in quanto manifestamente recenti e quindi estranee a quelle «espressioni di popoli preistorici e/o primitivi (o tribali)» di cui i petroglifi «devono» fare parte, e concentrano la loro attenzione su scene, figure e simboli, isolandoli dal contesto delle loro associazioni sincroniche e diacroniche e, di conseguenza, dal loro contesto storico.

2.2.5. I petroglifi vengono sovente confrontati esclusivamente con altri petroglifi segnalati ai quattro angoli della terra, riducendone lo studio a una fenomenologia comparativista che da lungo tempo la storiografia, l'antropologia e la storia delle religioni hanno ripudiato: parafrasando C. Lévi-Strauss[4], si potrebbe affermare che i comparativisti che si credono archeologi rupestri elaborano in realtà un'archeologia ideologica e congetturale che tutti gli archeologi sconfesserebbero.

2.3. Principali problemi tecnici.

2.3.1. La grande abbondanza di petroglifi esistenti e la loro estrema dispersione sul territorio, quasi sempre in aree di difficile accesso, unite ai già ricordati problemi istituzionali, dissuadono sovente le soprintendenze e le università da interventi diretti e capillari volti al censimento, allo studio e alla tutela dei reperti: frequentemente, lo studio resta così affidato alla buona volontà di singoli o associazioni, tanto meritori, quanto incolpevolmente sprovvisti del necessario bagaglio di conoscenze scientifiche, metodologiche e tecniche, con conseguente diffusione di materiale interpretativo storicamente infondato.

2.3.2. I problemi posti dalle grandi dimensioni dei reperti, uniti a quanto osservato a proposito della scarsa considerazione di cui gode il loro contesto, scoraggiano la pubblicazione di rilievi completi in grande scala, in cui petroglifi di natura ed età differenti siano riprodotti rispettando i rapporti spaziali e dimensionali che intercorrono tra loro, senza espunzioni soggettive e avvalendosi di espedienti grafici volti a rendere conto dell'intera sequenza stratigrafica rupestre.

2.3.3. La disciplina manca per il momento di un'adeguata terminologia, nella definizione non solo dei reperti, ma anche dei metodi e delle tecniche adottati per studiarli. Si fa ad esempio grande abuso del termine «tipologia», che andrebbe sostituito da un termine più generico e meno presupponente, quale ad esempio «morfologia» o «tassonomia», in quanto in archeologia rupestre è impiegato al di fuori di quanto comunemente accettato e raccomandato in archeologia «tradizionale», dove il «tipo» occupa una posizione ben definita nella gerarchia delle variabili che identificano le culture. Persino l'espressione «archeologia rupestre» non è indenne da fraintendimenti, se si considera che molti studiosi mostrano di considerarla nient'altro che un confronto morfologico (impropriamente definito tipologico o stilistico, per quanto talora sistematicamente condotto) tra singoli petroglifi e singoli oggetti archeologici non sempre provenienti da contesti simili e/o storicamente collegati a quello in esame.

3. Proposte per la soluzione dei problemi rilevati

3.1. Per ovviare ai problemi istituzionali, è chiaro che non si può fare altro che raccomandare alle istituzioni, soprattutto a quelle universitarie e regionali, una futura maggiore attenzione per la disciplina e la materia in questione. Poiché i contenuti espressi dai petroglifi sono di natura molto varia, è inoltre opportuno che al loro studio contribuiscano discipline molto varie, dall’archeologia alla storia e all’epigrafia, dalla geologia all’antropologia, dalla paleografia alla storia della letteratura, dalla storia delle religioni all’etnografia.

3.2. Per ovviare ai problemi metodologici e tecnici, sono da più parte state proposte e sperimentate numerose contromisure. Tali contromisure vanno peraltro ulteriormente pubblicizzate, adducendo soprattutto il miglioramento qualitativo della documentazione da esse indotto.

3.2.1. Innanzitutto, il supporto litico dei petroglifi può e deve essere studiato da un punto di vista geologico: la litologia, la micromorfologia, l'alterazione della roccia sono fattori che ne favoriscono o ne limitano la predisposizione a ricevere petroglifi; insieme con il microclima, esse hanno inoltre pesanti effetti diretti sulla conservazione o sull'usura dei manufatti rupestri, effetti che, se opportunamente descritti e misurati, costituiscono un prezioso indice cronologico.

3.2.2. Gli scavi geo-archeologici ai piedi delle rocce incise possono rivelarsi poveri di risultati strettamente archeologici (anche se meno poveri di quanto si potrebbe pensare), ma permettono comunque di ricostruire il record sedimentario del sito rupestre e di interstratificare le pur povere testimonianze di frequentazione umana stagionale con le vicende naturali complessive del sito e in particolare con i processi di deterioramento delle rocce incise (chimismo dei suoli, gelifrazione).

3.2.3. La posizione crono-stratigrafica generale delle rocce incise rispetto alle altre componenti dell’ambiente antropico deve essere attentamente valutata, in quanto essa consente di restringere la produzione grafica rupestre a un numero limitato di grandi fasi dell'evoluzione dell’ambiente antropico.

3.2.4. Analogamente a qualsiasi contesto archeologico tradizionale multifase, particolare attenzione va prestata alla stratigrafia verticale e orizzontale, ovvero, in questo campo particolare, al sovrapporsi e al giustapporsi di un petroglifo all'altro. Oltre all'aspetto fondamentale di non costituire nocumento per i reperti, i rilievi e le relative restituzioni devono produrre una documentazione grafica non solo precisa e affidabile, ma anche esaustiva e diacronica, basata appunto sui principi della stratigrafia archeologica. Tenendo conto del progressivo deterioramento delle testimonianze rupestri, che restano per lo più esposte all'erosione naturale e ai danneggiamenti antropici volontari e involontari, tale documentazione grafica deve essere immagazzinata su supporti digitali facilmente consultabili e trasmissibili a distanza e salvaguardata in modo definitivo, a disposizione della comunità scientifica.

3.2.5. In tutti i casi in cui è possibile compiere accertamenti documentali negli archivi storici, si constata che numerosi testi medioevali e moderni conservano precisi riferimenti topografici, cronologici, funzionali e onomastici relativi ai petroglifi.
Così come sottolineato a più riprese, è auspicabile che gli archeologi rupestri instaurino un assiduo rapporto di collaborazione con gli storici classici, medievisti e modernisti, allo scopo di comparare e verificare sistematicamente i dati grafici, onomastici e genealogici, per lo più frammentari, che i primi traggono dalle loro ricerche sul terreno e le cronologie relative e assolute che essi ne desumono, con i dati grafici, onomastici e genealogici molto più completi e molto meglio datati che i secondi si vedono incessantemente sfilare sotto gli occhi decifrando e trascrivendo i documenti manoscritti che costituiscono la fonte principale dei loro studi. Questi ultimi dati vengono solo raramente pubblicati integralmente, a causa dello scarso interesse che essi rivestono, nel loro carattere elementare, per le ricerche storiche, mentre sarebbero di interesse cruciale per l'archeologo rupestre.
Questo rapporto non esiste sfortunatamente ancora, probabilmente perché gli storici non vedono quale vantaggio potrebbero concretamente trarne. In realtà, diverse esperienze di ricerca degli ultimi anni dimostrano, pur nella limitatezza dei loro mezzi, che nella realizzazione dei petroglifi, che, nella loro materialità individuale e territoriale, sono innanzitutto, come è evidente, oggetto di studio dell'archeologia rupestre, è possibile riconoscere il riflesso di diversi dei fenomeni socio-economici che emergono dall'analisi delle fonti storiche tradizionali, quali le credenze, i costumi e le lotte religiose, le strutture e i contrasti sociali, le mentalità, i rapporti famigliari e genealogici, l'antropizzazione e l'organizzazione del territorio, lo sfruttamento delle risorse naturali, la circolazione di uomini e idee, i movimenti demografici, gli avvenimenti militari… Ne consegue che gli storici, talvolta troppo abituati a basarsi esclusivamente sui manoscritti cartacei, potrebbero anch'essi trarre vantaggio dalla comparazione e dalla verifica dei dati in loro possesso con le realtà materiali messe in luce dagli archeologi rupestri, per lo meno in quei contesti di media e alta montagna, dove la documentazione storica e quella archeologica tradizionale sono più sporadiche e dove i petroglifi costituiscono una delle principali, se non la principale, delle fonti di conoscenza dell'antropizzazione.

3.2.6. In quanto espressioni grafiche proprie della cultura locale che li ha prodotti, i petroglifi vanno studiati in parallelo ad altri reperti e documenti scultorei, pittorici, artigianali (soprattutto in legno e pietra), epigrafici, scrittorii (soprattutto i graffiti), folklorici e religiosi presenti sul territorio circostante i siti rupestri, nonché con la letteratura storico-politica, narrativa e religiosa di cui le stesse comunità che hanno prodotto i petroglifi potevano dimostratamente disporre nelle varie epoche.

3.2.7. Dallo studio del contesto dei petroglifi e dal loro raffronto con le altre fonti locali emerge che tali testimonianze sono da ascrivere prevalentemente ad alcune categorie sociali ben precise, ancorché sovente coalescenti: innanzitutto i pastori, in secondo luogo i cacciatori e i minatori, più episodicamente gli agricoltori, gli artigiani della pietra e del legno, i militari, i viaggiatori e i pellegrini, gli esuli e i perseguitati (tipici autori anche di graffiti). Si tratta nel complesso di gruppi socio-economici specializzati, che conducono attività lavorative stagionali o comunque temporanee (sia nell'arco di un anno, sia nell'arco di una vita), hanno in comune le difficili condizioni di vita e dispongono di pochi altri mezzi espressivi. Dal punto di vista delle classi di età, è probabile che molti incisori rupestri siano ragazzi o giovani adulti. Dal punto di vista del sesso, i maschi costituiscono la quasi totale maggioranza.

3.2.8. L'approccio fenomenologico e ideologico allo studio dei petroglifi, cui si è precedentemente accennato, fa sí che si dia per scontato che tali reperti costituiscano altrettante espressioni di idee e concetti, per lo più di natura sacra, senza che quasi si prenda in considerazione la possibilità che si tratti di riproduzioni di oggetti o fatti reali. Le ricerche recenti stanno invece dimostrando il ruolo rilevante che la mimesi della realtà e la mimesi dell'arte hanno svolto nel processo di produzione dei petroglifi, aprendo una serie di nuove prospettive di approfondimento, in tutto ciò che concerne la selezione dei temi e dei contenuti, la circolazione dei modelli, il bagaglio culturale degli incisori e le funzioni stesse dei petroglifi.

4. Vi è un forte contrasto tra chi si accosta ai petroglifi con lo spirito del collezionista entomologo, proponendo di organizzarli in un numero preordinato di caselle, dove tutti gli «stili», i «tipi» e gli «archetipi» sono diligentemente previsti a priori, ancorché privi di un significato storico dimostrabile, e chi vi riconosce invece una realtà storico-antropologica ed espressiva troppo complessa per sottostare a incasellamenti di sorta, al di fuori di quelli molto elastici che possono apportare, caso per caso, i metodi e le tecniche lungamente sperimentati in altri campi dalla geologia, dall'archeologia e dalla storia.
Gli archeologi rupestri che non si rassegnano a vedere le rocce incise ridotte al rango di pagine di un album di figurine devono necessariamente confrontarsi con tali discipline, sollecitandone i rappresentanti a esprimersi sulle numerose questioni che tali reperti sollevano con la loro ubiquità geografica e cronologica e stimolando da essi il riconoscimento ai petroglifi del rango di quasi inattinta e quasi inesauribile nuova fonte per la storia.

Bibliografia

MANNONI T., ROSSI M. 2004, L’archéologie rupestre, nouvelle source pour l’histoire, in Atlas culturel des Alpes occidentales, De la préhistoire à la fin du moyen âge, dir. da C. Jourdain-Annequin, Paris, pp. 80-81.

ROSSI M. 2003, L’archeologia rupestre: una nuova fonte per la storia, «Quaderni della biblioteca della montagna “Francesco Biamonti”», [1], pp. 46-61.

[1] ISCUM - Istituto di storia della cultura materiale, Via di Sottoripa 5, I-16124 Genova.

[2] Antropologia Alpina, Corso Tassoni 20, I-10143 Torino (studio@antropologiaalpina.it).

[3] Convegno internazionale del Laboratorio di Antropologia Storica e Sociale delle Alpi Marittime «I Liguri e la preistoria: radici etnoantropologiche di un popolo delle Alpi» (Zuccarello 2002; cf. ROSSI 2003); Séminaire de la Maison des Sciences de l’Homme - Alpes «La montagne et le sacré, Parcours parallèles en histoire ancienne et médiévale» (Grenoble 2002; cf. MANNONI - ROSSI 2004); «Incontri tra storia, archeologia, geografia e ambiente», del Laboratorio di Archeologia e Storia Ambientale dell’Università di Genova, Genova 2002; Seminario e conferenza dell’Istituto di Storia della Cultura Materiale e dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri «Archeologia rupestre / Archeologia ambientale», Genova 2003.

[4] «Antropologia», in Enciclopedia del Novecento, (dir.) A. Ferrabino, I, p. 209, Roma 1975: «i comparativisti che si credono storici elaborano in realtà una storia ideologica e congetturale che tutti gli storici sconfesserebbero».

Copia di atti della Linea divisionale della Comnta di pramolo, con quella di Riclareto valle S. Martino, 1761

Estratto dalla "Copia di atti della Linea divisionale della Comnta [Comunità] di pramolo [Pramollo], con quella di Riclareto valle S. Martino [oggi Perrero]" (provincia di Torino, anno 1761), con descrizione della realizzazione e misure precise di un petroglifo catastale ancora oggi esistente.

Per saperne di più:
– scarica gratuitamente
il pdf
– acquista
gli atti del convegno Pietra, scrittura e figura in età postmedievale nelle Alpi e nlle regioni circostanti

Indirizzare critiche, commenti e adesioni a:

studio@antropologiaalpina.it